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In data 21/12/2020 07:52:19 a pubblicato
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In data 15/12/2020 16:22:37 a pubblicato
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L'immunologa Viola: "Ecco perché ci sono tanti morti di Covid in Italia"
La professoressa in un post su Fb: "Medicina del territorio distrutta, così i più fragili sono poco seguiti"Il numero dei decessi da Covid in Italia è in proporzione molto più elevato di quello di tanti altri Paesi. Ma perché accade ciò? Con un post su Facebook l’immunologa Antonella Viola prova a dare una risposta: “Prima di tutto - osserva - è possibile che il nostro tasso di letalità soffra di una carenza di accuratezza nell’identificazione dei positivi, nel senso che ci sono più positivi di quelli che riusciamo a intercettare. Questo è già accaduto durante la prima ondata, come dimostrato poi dall’analisi sierologica effettuata in estate. Questo fatto da solo farebbe saltare tutti i calcoli. C’è poi un problema, rispetto alla Germania, di organizzazione ed efficienza della medicina del territorio. Abbiamo meno medici e meno infermieri, e una medicina del territorio che è stata distrutta dai tagli alla sanità. Questo significa che le persone più fragili, gli anziani, sono da noi meno seguite che in Germania. Del resto, se la Germania investe per la sanità dei suoi cittadini il doppio che l’Italia, è ovvio che gli effetti si vedano”.
Secondo l’immunologa, i motivi analizzati in precedenza sono alla base di un tasso di letalità molto alto nel nostro Paese. “Il tasso di letalità - precisa - conta le persone decedute tra tutte quelle che si sono ammalate o contagiate. Nel caso di Covid-19, l’Italia ha un tasso di letalità del 3,5%: vuol dire che, ogni 100 positivi, ne muoiono tra 3 e 4. Questo tasso è estremamente elevato, considerando che in Francia è del 2,4%, in Usa 1,9%, in Germania 1,6%”. Qual è la lezione da imparare? “Investire nella sanità pubblica, nella medicina territoriale, nella formazione di medici e infermieri”, conclude Viola.
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In data 18/12/2020 07:44:11 a pubblicato
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Usa, segnalata grave reazione allergica al vaccino Pfizer
Dopo i 2 casi di reazione allergiche in Inghilterra ecco ora un caso negli stati Uniti
Una operatrice sanitaria statunitense cui è stato somministrato il vaccino contro il coronavirus di Pfizer e Biontech ha sviluppato una grave reazione allergica, ma le sue condizioni sono ora stabili. Lo riferisce il "New York Times", che cita fonti sanitarie del Barlett Regional Hospital di Juneau, in Alaska, dove l'operatrice sanitaria lavora e dove ha ricevuto il vaccino.
Il quotidiano evidenzia che il soggetto non aveva alcun precedente di allergie, ma ha sviluppato comunque una reazione allergica grave 10 minuti dopo la somministrazione del farmaco. La donna aveva ricevuto la prima dose del vaccino di Pfizer e Biontech di fronte alle telecamere lo scorso 11 dicembre, nell'ambito della campagna governativa tesa a promuovere la "fiducia nei vaccini" tra i cittadini statunitensi.
La donna ha sviluppato rush cutanei, tachicardia e una crisi respiratoria, e le è stata somministrata epinefrina per placare i sintomi, che però si sono ripresentati, ed hanno costretto i medici curanti a fare anche uso di steroidi. Un ulteriore aggravamento ha costretto ad un ricovero in terapia intensiva.
Fonti mediche riferiscono che la donna "si sente bene e resta entusiasta del vaccino". Il caso aumenta però la preoccupazione in merito all'intensità delle reazioni avverse al vaccino, dal momento che secondo gli esperti l'infermiera ha rischiato di perdere la vita.
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In data 07/12/2020 08:48:25 a pubblicato
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Diario del virus: fame d’aria e tanta paura: cosa ricorderò della mia vittoria contro il Covid
di Pier Giorgio Scrimaglio 06 dic 2020
Ho preso il Covid, in una forma aggressiva: sono stato ricoverato per nove giorni in terapia sub-intensiva. Ora sono a casa, in convalescenza. Sono guarito, ma voglio fermare i ricordi di quello che mi è capitato. Non devono finire nel «cassetto della memoria».
24 ottobre. Come sempre, mi tengo in forma: tennis, camminate, bicicletta. Smart working e vita tranquilla. Vado a giocare a tennis. Ho una tossetta noiosa. Dopo dieci minuti mollo, con una scusa.
25 ottobre. A pranzo vado in bici, ho il fiato corto.
26 ottobre - 1 novembre. Arrivano spossatezza e febbriciattola. Lo sciroppo della tosse è inutile: ho attacchi fortissimi. La situazione peggiora rapidamente. Inizio a prendere antibiotici e cortisone, come da indicazione del medico di base. Fatico a mangiare e bere. Spesso non sono lucido. Il primo novembre, su suggerimento di un amico, vado in ospedale a Moncalieri. Mi fanno il tampone e le lastre ai polmoni: il referto è buono. Mi dimettono.
2-4 novembre. Sono positivo al Covid. Proseguo con antibiotici e cortisone. Il saturimetro indica 92. Sono sempre più stanco. Comincia la fame d’aria, di notte non respiro. Gli amici sono in ansia: vivo solo, in un posto isolato.
5 novembre. Il saturimetro indica 87. Non mi voglio far ricoverare, trovo giustificazioni. Gli amici mi fanno capire che chiamare il 118 è l’unica cosa da fare.
Mi ricoverano al Pronto soccorso Covid. Uno stanzone enorme, tranquillo, coi letti a cerchio come i carri del West quando sono attaccati dagli indiani. Le lastre ai polmoni evidenziano una polmonite interstiziale bilaterale. Sono disidratato. Mi mettono la mascherina dell’ossigeno che dà un po’ di sollievo, anche psicologico. La notte in qualche modo passa. Un mio vicino di letto muore. Arrivano gli infermieri, gli mettono sopra un «coperchio» e lo portano via.
6 novembre. Mi trasferiscono al reparto Covid. Sono tutti con lo «scafandro». Sono diviso da un separé dal mio vicino. Non lo vedo, sento che chiama a casa. Non so che ore sono. Chiudo gli occhi.
7 novembre. Al mattino gli infermieri misurano pressione, febbre e saturazione. Che non va bene. Parleranno coi dottori per il casco. Proseguono le cure. Remdesivir, antibiotici e soluzione fisiologica in flebo. Cortisone in vena ed Eparina in pancia. E quattro litri di ossigeno. Mi portano il casco ventilatore: il rumore è assordante, sembra di essere in macchina a 200 all’ora coi finestrini aperti. Sento che mi fa bene. Lo terrò tutta la notte.
8 novembre. La mattina le infermiere dicono che va davvero meglio. Se il casco non avesse funzionato, mi avrebbero portato in terapia intensiva. Qui inizia la guarigione.
9 novembre. Attaccato a dei fili, respiro con le cannucce nel naso. Dormo controllando in continuazione di avere l’ossigeno. Non sto in piedi.
10 novembre. I valori si stanno normalizzando. Ho sempre l’ossigeno, ma con minore intensità. Senza mascherina non respiro ancora. La tosse però è molto regredita. I medici sono soddisfatti.
11 novembre. Mi spostano dal reparto infettivi sub-intensivi a un reparto di chirurgia convertito per il Covid. Via l’ossigeno, la prima reazione è di paura.
12 novembre. La dottoressa mi ausculta il torace. Dice che è il momento di fare il tampone. Il risultato arriva nel pomeriggio: sono guarito e asintomatico. Lascio il posto in ospedale a chi ne ha bisogno.
13 novembre. Mi danno il protocollo con le cure da seguire a casa, per la quarantena. C’è solo lo sciroppo per la tosse.
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In data 12/12/2020 09:29:46 a pubblicato
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Vitamina D e Coronavirus
Forse una opportunità per contrastare l’infezione da Coronavirus potrebbe arrivare dalla Vitamina D e a comunicarlo sono i professori Giancarlo Isaia ed Enzo Medico dell’Università degli Studi di Torino.
Sulla base di numerose evidenze scientifiche e di considerazioni epidemiologiche, sembra che adeguati livelli plasmatici di Vitamina D siano necessari oltre che in prima di tutto per prevenire le numerose patologie croniche che possono ridurre l’aspettativa di vita nelle persone anziane, anche per determinare una maggiore resistenza all’infezione COVID-19 che, sebbene con minore evidenza scientifica, può essere considerata verosimile.
“In riferimento alle misure utili per contrastare gli effetti della pandemia da Coronavirus, riteniamo opportuno richiamare l’attenzione su un aspetto di prevenzione, meno noto al grande pubblico, l’Ipovitaminosi D, il cui compenso, in associazione alle ben note misure di prevenzione di ordine generale, potrebbe contribuire a superare questo difficile momento” spiegano Giancarlo Isaia ed Enzo Medico, dell’Università degli Studi di Torino.
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LE TUE MANI
Grande è la gioia che provo quando posso stringere le tue mani.
Sento esprimere tutte le cose che non mi hai mai detto,
sento che ancora mi vuoi bene,
anche se non te l'ho mai chiesto.
Nelle tue mani ho messo il mio cuore
e tutto l'amore vero e sincero.
Il tempo è passato ma il mio sentimento non è mai cambiato è ancora forte e vivo.
Spero ancora di stringere le tue mani,
sentire che col pensiero mi sei vicina.
Ti prego! non negarmi la gioia di un tuo saluto
e la speranza che un giorno non lontano,
ancora io possa stringere le tue mani.